lunedì 13 ottobre 2008

futurismo in mostra

Menzogna storica o ripristino della verità? I fatti, innanzitutto. Mercoledì 15, presso il Centre Georges Pompidou di Parigi, si inaugurerà una grande mostra, Le futurisme à Paris. Une avant-garde explosive, che, nei prossimi mesi, approderà a Roma (alle Scuderie del Quirinale, dal 20 febbraio) e a Londra (alla Tate Modern, dal 12 giugno). Una rassegna che documenta, con puntualità filologica e con qualche audacia interpretativa, la stagione d' oro del movimento marinettiano. In particolare, ci si sofferma su un episodio cruciale: l' esposizione delle opere di Boccioni e dei suoi amici nella galleria parigina Bernheim-Jeune (nel febbraio del 1912). Partendo da qui, si indagano le ragioni sottese al dialogo - spesso conflittuale - intercorso tra il fronte futurista e quello cubista, per esaminare, soprattutto, echi e rifrazioni: le impronte lasciate dai quadri e dalle sculture degli artisti italiani sulle maggiori poetiche europee. Dietro questi fatti si nascondono intenti di ordine politico e culturale. Ci troviamo dinanzi a una ricostruzione dal forte valore simbolico, che rivela attriti, rivalità, scontri. Un' appropriazione indebita? O addirittura uno scippo? Insomma, perché Parigi ha deciso di celebrare per prima la nascita del più straordinario movimento d' avanguardia? La questione è delicata. Siamo di fronte a un omaggio che dimostra il desiderio della Francia di appropriarsi di una meravigliosa, mobile e plurale esperienza creativa, imprescindibile punto di riferimento per tutti gli sconfinamenti linguistici della seconda metà del secolo scorso: dall' informale alla pop art, dall' happening a fluxus, alla videoarte. Solo un imbroglio critico? No. La mostra del Centre Pompidou mette in scena menzogne, ma anche verità. In fondo, assistiamo a una sorta di ritorno a casa del futurismo, il cui battesimo avvenne proprio a Parigi, dove, sulla prima pagina de «Le Figaro» (del 20 febbraio 1909), apparve il manifesto di fondazione, firmato dal líder máximo Marinetti. Parigi è un po' il destino necessario, per tutti i protagonisti delle sperimentazioni della prima parte del XX secolo. È, come ha scritto Giovanni Macchia, la «Gerusalemme di un mondo laico, (...) enorme organismo in movimento, bello perché è vivo, animato nel suo divenire da una vita sotterranea». Marinetti e i suoi compagni di strada si recano in questa Babele della contemporaneità alla ricerca della consacrazione, innamorati di un Paese come la Francia, dotato - a differenza dell' Italia - di un' autentica tradizione della modernità. Parigi è la mèta. Ed è anche il luogo da cui muovere per avviare una campagna di colonizzazione dell' Occidente, con una strategia che oggi potremmo definire global. Questo allargamento geografico, tuttavia, è costantemente percorso da un intenso richiamo alle radici: ma la dimensione locale del gruppo non viene scandagliata dall'antologica del Pompidou. Perché, nel futurismo, sembra rivivere lo slancio impossibile del volo di Icaro: il suo sogno, la sua delusione. Da un lato, il bisogno di porsi in sintonia con il paesaggio internazionale delle arti; dall'altro lato, la necessità di ricollegarsi ai valori italiani. Essere senza frontiere, ma con moderazione. Coraggio e prudenza al tempo stesso. «Gran corteggiatore della follia, disdegnante le regole sintattiche, (...) il futurismo anelava pateticamente a qualcosa che tenesse a freno la propria vocazione catastrofica», ha ricordato Giorgio Manganelli. L'imponente mostra di Parigi, dunque, ha il merito di ripristinare la veridicità di alcuni eventi, ma non investiga adeguatamente su certi passaggi significativi. Sono stringenti ambiguità che si ritrovano pure sul piano metodologico. Il curatore, Didier Ottinger, ha posto al centro del racconto espositivo il viaggio oltralpe delle truppe degli avanguardisti italiani. Una forzatura tipicamente francese. Una scelta che sembra riproporre una visione - piuttosto datata - di tipo «boccionicentrico», tesa ad analizzare soprattutto le corrispondenze e le contrapposizioni tra i dinamismi futuristi e le scomposizioni cubiste. È un modo per attenuare l' originalità dirompente dell' avventura marinettiana. Ma è anche per ridimensionare l' importanza del secondo futurismo: una fase - dal 1916 al 1944 - talvolta segnata da esiti di maniera, eppure profetica nell' ambito di territori come il design, l' architettura e la moda. C' è anche altro, infine. Ottinger è ricorso a un artificio storiografico attraversato da evidenti obiettivi ideologici. Si cancella del tutto, infatti, la «parentesi istituzionale» del futurismo post-bellico, caratterizzata dal confronto - episodico e strumentale - con il Regime mussoliniano: è il momento in cui l' avanguardia si fa conservazione e le rotture si ricompongono dentro simmetrie rigide. Menzogna o verità, allora? Il dibattito è aperto. A un secolo di distanza, il futurismo - traccia di un' epoca di transito, costellazione di differenze, confluenza di dissonanze - fa ancora scandalo. L' avant-garde explosive divide, disorienta, alimenta polemiche. L' utopia di Marinetti continua a sedurre. Appassiona la sua assurda sfida agli astri. «Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo (...) la nostra sfida alle stelle», si legge in chiusura del manifesto del 1909. 1909-2009 Celebrazioni e studi Appuntamenti La mostra di Parigi (dal 15 ottobre al 26 gennaio, aperta tutti i giorni a eccezione del martedì, biglietto d' ingresso 12) inaugura le celebrazioni per la nascita del movimento marinettiano che, in Italia, sarà celebrato anche al Mart di Rovereto («Futurismo 100°: illuminazioni», dal 17 gennaio 2009), al Museo Correr di Venezia («Astrazioni», dal 5 giugno 2009) e a Palazzo Reale a Milano («Simultaneità», dal 15 ottobre 2009). In concomitanza con la mostra al Pompidou, Fabio Benzi pubblica una monografia, Futurismo (Federico Motta, pp. 384, 135): una visione complessiva del gruppo che non considera il Futurismo come un evento improvviso, ma come un itinerario segnato da intuizioni e cadute che si esaurisce con la morte del «padre padrone» Marinetti nel 1944. L' opera (nella foto) «Rissa in Galleria», olio su tela (particolare, 76x64 centimetri) realizzato nel 1910 da Umberto Boccioni. Il dipinto è conservato alla pinacoteca di Brera. (Trione Vincenzo)

Il 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti lancia, dalla prima pagina de «Le Figaro», il manifesto di fondazione del Futurismo. Un Manifesto dedicato «a tutti gli uomini vivi della terra»: é l'atto di nascita del Futurismo, primo movimento d'avanguardia del XX secolo, mobilitazione totale contro i valori politici, morali e culturali ereditati dal passato. «I più anziani fra noi hanno trent'anni. Quando avremo quarant'anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!». Filosofia del divenire, celebrazione della vita come evoluzione continua, il Futurismo nasce sotto il segno del militantismo. «Primitivi di una sensibilità completamente rinnovata», i futuristi proclamano ogni distinzione fra arte e vita; le loro ricerche si animano della volontà instancabile di reinventare, attraverso l'arte, tutte le forme del vivere sociale: dalla politica alla comunicazione, dal costume alla musica, dalla sessualità alla cucina. In occasione dell'approssimarsi del centenario del Manifesto del Futurismo e dell'esposizione «Le Futurisme à Paris : une avant-garde explosive», tra ottobre 2008 e febbraio 2009 l'Istituto Italiano di Cultura organizza un ciclo di conferenze dedicate a questo prolifico movimento d'avanguardia. Sarà l'occasione per riflettere criticamente sulla ricchezza di stimoli che, per contraddizioni intrinseche, forza di destrutturazione e vastità d'ambiti d'interesse, l'avanguardia futurista ha saputo lasciare alle generazioni successive.
Il programma: clicca per visionarlo.

Nessun commento: