venerdì 28 novembre 2008

Carlo Levi

'Il respiro della città', un'esposizione (da febbraio a luglio scorsi) ha messo a confronto 46 tele che il pittore ha realizzato tra il 1926 e il 1954 e 28 differenti dipinti di noti esponenti della Scuola Romana.

La pittura di Carlo Levi messa a confronto con quella della celebre Scuola Romana. Come in un gioco di specchi e rimandi stilistici e concettuali, la mostra dal titolo "Il respiro della città", curata da Daniela Fonti, ha messo a fuoco "il rapporto poco investigato - ha dichiarato la curatrice - che lega Carlo Levi, nato come pittore 'chiarista' dei 'Sei' di Torino e Roma, rappresentata da quella corrente, la Scuola Romana, che sappiamo espressionista e visionaria e conosciamo dalle tele tra gli altri di Mafai, Scipione e Trombadori". La mostra è stata allestita, nelle sale del Casino dei Principi di Villa Torlonia a Roma, con 46 tele che Levi ha realizzato tra il 1926 e il 1954 e 28 differenti dipinti di noti esponenti della Scuola Romana. L'allestimento accompagna il visitatore alla scoperta della metamorfosi che la pittura di Levi ha subito assorbendo le influenze del movimento romano, personalizzato mescolando il suo passato torinese e la pittura dei 'Sei', l'approccio internazionale e il suo soggiorno parigino. Dicotomica nell'allestimento, la mostra ha evidenziato la cesura tra il Levi del prima e del dopo Scuola Romana alla quale non è mai appartenuto ufficialmente ma ne è stato un profondo interlocutore sul piano pittorico.
Folgorato dalla fascinazione per un approccio visionario ed espressionista Levi tratteggia "una Roma antiretorica. Nei suoi paesaggi - ha aggiunto la curatrice - emerge un guardare alla romanità spoglio da alcun accento tronfio e lontano dai fasti dell'arte classicheggiante che promuoveva il regime, che lui invece osteggiava come cospiratore antifascista. Emerge una Roma nascosta, limpida, visionaria, come quella di Scipione e Mafai". Intellettuale a tutto tondo, Levi è stato non solo pittore di prim'ordine della scena artistica italiana del Novecento, ma anche scrittore capace di dare alle stampe capolavori come 'Cristo si è fermato ad Eboli' nel 1945 (°) e 'L'orologio' nel 1950, infine come politico (nel 1963 è stato anche senatore della Repubblica). Capace di distinguere l'attività artistica da quella politica, "era molto professionale nel tener lontano il suo ruolo di pittore da quello di cospiratore. Un'antinomia - ha sottolineato Daniela Fonti - consentita dai tempi. Esemplare il fatto che negli stessi giorni trascorsi nel carcere di Regina Coeli di Roma i suoi quadri facevano bella mostra nella Quadriennale: era in mostra come pittore ed in galera come antifascista.

***

(°) Pubblicato da Einaudi nel 1945, “Cristo si è fermato ad Eboli” è la storia del periodo di confino che Carlo Levi trascorse in Basilicata: il racconto di un mondo chiuso e immoto, lontano dal tempo e dalla storia, un mondo di pena, di problemi antichi irrisolti. Eboli è più del confine geografico che, dalla costa, segna il passaggio nelle terre aride e desolate: è il confine che segna la fine della civiltà verso una “terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte”. L’opera di Levi offre un’analisi mirabile del Mezzogiorno, narrato attraverso i suoi occhi di piemontese in un memoriale appassionato. Nel 1979, Francesco Rosi firma l’adattamento cinematografico del libro, interpretato da un intenso Gian Maria Volonté. In due anni d’esilio ad Aliano, paese sperduto tra i monti della Lucania, l’autore ebbe modo di conoscere lo stato di miseria in cui la gente del posto viveva; il ruolo di medico lo portò a stretto contatto con la vita dei contadini che, per ogni intervento o malattia, si rivolgevano a lui visto che i “medicaciucci" del paese, Milillo e Gibilisco, non sapevano niente di medicina. Nonostante l’invidia dei due, Levi era benvoluto e rispettato da tutti. La sua presenza in paese rendeva orgogliosi anche il podestà Magalone e donna Caterina, sua sorella, che lo accolsero con piacere; e fu con rammarico che accolsero la notizia della sua partenza, quando la questura di Matera gli rilasciò il permesso di andar via, di tornare a Torino. Nel ripercorrere la propria esperienza a contatto con quella gente dimenticata dalla storia (“Noi non siamo cristiani, — essi dicono, — Cristo si è fermato ad Eboli”), l’autore riflette sull’estraneità dello stato e della politica rispetto a quella realtà con straordinaria lucidità.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Giacomo, oggi quando ho fatto il post di Levi, sono andata alla ricerca di immagini, ho visto che somigliava a E.Notte.Un caro saluto

smemorato ha detto...

Anche se credo non si siano conosciuti (se qualcuno sa qualcosa lo scriva), me li voglio immaginare sodali. Negli anni della scuola romana Emilio Notte era occupato a Napoli nell'Accademia.